Autore
Andrea Schianchi
lavora dal 1990 alla Gazzetta dello Sport, dove si occupa prevalentemente di calcio. Ha scritto: Lo stadio dei sogni (Limina), Marilyn di maggio (Limina), Il bandito in bicicletta (Mup), La mia squadra suona il rock (Edizioni Gazzetta dello Sport). Ha curato Indro al Giro (Rizzoli), i reportages di Indro Montanelli dal Giro d’Italia. Per Absolutely Free ha scritto: Non spegnete quel fuoco (che ha avuto una segnalazione al Premio Coni) e Clamoroso a Wembley. Ha collaborato con diversi attori e realizzato spettacoli teatrali, tra i quali Gol! Tacalabala e Ombre rosse.
Sinossi
Joao Saldanha fu il commissario tecnico del Brasile dal 4 febbraio 1969 al 17 marzo 1970, poi la giunta militare guidata dal generale Medici lo licenziò e lo sostituì con Mario Zagallo. Saldanha era un giornalista e, soprattutto, era un comunista. Iscritto al partito fin dagli anni Trenta, prima di diventare un commentatore sportivo era stato un importante dirigente comunista e un attivista sindacale che si batteva contro i ricchi proprietari di miniere. Finito diverse volte in prigione, fuggì in Europa per salvarsi dalle persecuzioni del regime. Quando tornò a Rio ebbe l’opportunità di allenare il Botafogo di Nilton Santos, Didì e Garrincha e di portarlo al titolo nel 1957. Nel 1969, in mezzo a incredibili polemiche, i dirigenti sportivi brasiliani decisero di affidargli la conduzione della Seleçao che avrebbe dovuto tentare l’impresa di vincere la terza Coppa Rimet. Perché lo scelsero resta un mistero. Saldanha, nei 406 giorni in cui rimase in carica come commissario tecnico, inventò quella che la Fifa considera la più forte squadra di tutti i tempi: il Brasile del 1970. Fu lui a creare la formula dei cinque numeri 10 in campo tutti assieme: Gerson, Jairzinho, Pelé, Tostao e Rivelino. E fu lui a vincere tutte le sei partite di qualificazione al Mondiale. Quando il regime non ebbe più bisogno di lui, perché era diventato troppo ingombrante e forse anche troppo amato dal popolo, lo licenziò. Saldanha uscì di scena, tornò a scrivere e, come giornalista, seguì dalla tribuna stampa dell’Azteca, a Città del Messico, il Brasile che diventò tricampeao.